accelerazionismo

Per un accelerazionismo efficace e di sinistra

Il manifesto dell’accelerazionismo

Quando ho scoperto l’esistenza dell’accelerazionismo come corrente di pensiero contemporanea, a fianco delle altre già esplorate, ho subito pensato al futurismo. Sì, quel movimento di inizio Novecento tanto affezionato al progresso e alla speculazione tecnologica in maniera ingenuamente utopica. L’opera poetica dal curioso titolo Zang Tumb Tumb, che ostentava la guerra, ne è un esempio. Il suo manifesto, di cui gli autori festeggiarono la realizzazione con una veloce corsa in macchina finita in un fosso, è un altro.

Oggi siamo abbastanza unanimi nell’attribuirgli una ruolo da concime per quel terreno che era l’Europa al tempo. Dove potesse fiorire il primo conflitto mondiale e brulicare i nazionalismi. Tuttavia, forse possiamo salvare uno dei suoi elementi fondamentali: la spinta ad accelerare la modernità, per risolvere i nostri problemi. Di questo parla il Manifesto accelerazionista, scritto nel 2013 dai professori londinesi Alex Williams e Nick Srnicek.

Ad introdurre le loro argomentazioni è la consapevolezza di vivere in un periodo che inaugura nuove crisi per l’umanità, difficilmente fronteggiabile dalla politica attuale. Una dozzina di anni dopo, fra l’inarrestabile collasso climatico e i nuovi scontri internazionali, non possiamo che dar loro ragione. Tale incapacità sarebbe da rintracciare nel ristagno del neoliberismo durante gli ultimi decenni, non curante degli effetti negativi creati dalla sconsiderata privatizzazione dei servizi.

D’altra parte, il trionfo della destra viene combattuto con sempre meno vigore dalle forze appartenenti alla sinistra, spesso ripiegate nella nostalgia verso ideologie antiquate. Il comunismo e l’anarchia sono fra queste, ho avuto modo di constatare in maniera fin troppo lampante frequentando ambienti politici. In tutto ciò, l’idea di futuro non va solo reinventata, ma rilanciata in toto, per evitare di rimanere in un circolo vizioso simile.

Ecco il fine dell’accelerazionismo. Ma cosa in particolare deve essere accelerato? Una mentalità neoliberista risponderebbe “il capitalismo stesso”, confondendo “accelerazione” con “velocità”. Vedete, un criceto può andare veloce anche girando sempre nella stessa ruota, per utilizzare una metafora a dir poco colorita. Ma accelerando sempre più si ritroverà a farlo in uno spazio di movimento ben più ampio, se non altro perché alla fine l’avrà rotta. E quindi correrà verso nuovi luoghi da esplorare.

Il modello capitalista funziona così, limita i nostri orizzonti entro un quadro di libera circolazione del capitale e crescita economica fine a sé stessa. Conseguentemente, l’inventiva e la creatività dello sviluppo tecno-sociale viene soffocata da una logica predefinita. Invece, per rompere tale meccanismo circolare è necessario spingere la modernità oltre la forma standardizzata assunta, come aveva già intuito Karl Marx ai suoi tempi.

Pensate al grado di sviluppo tecnologico raggiunto nel 2025. Per quanto notevole, sotto alcuni aspetti, non è lontanamente paragonabile a quanto ci si aspettava nel passato. Né un’utopia steampunk prefigurata durante la Belle Époque, né una distopia cyberpunk da film di fantascienza anni 80, caratterizzano il nostro presente. Siamo nell’era di X e ChatGPT, dei televisori enormi e piatti, delle auto elettriche non perché inquinino meno ma perché va di moda. Un tempo l’umanità sognava di spandersi oltre il pianeta Terra e la propria forma corporea così com’è. Attualmente queste aspirazioni sono state fagocitate da una gadgetizzazione disillusa delle nuove scoperte.

Il manifesto propone un utilizzo degli avanzamenti tecnici portati avanti finora dal capitalismo per rilanciarli nuovamente. Nella loro corsa accelerata, le risoluzioni fornite schivano il pericolo rappresentato dal tecnoutopismo, il quale eleva la tecnologia a panacea per i conflitti sociali. Realizzare un rapporto biunivoco fra sviluppo tecnologico e azione sociopolitica, invece, costituirebbe la vera soluzione, mai definitiva e sempre in costruens.

Questo perché la dialettica fra i due elementi permetterebbe di indirizzare la spinta della modernità verso l’interesse comune. Lasciando che essa si arenasse, a causa di un’inadeguata pianificazione, le rivoluzioni del passato avrebbero peccato di scarsa lungimiranza, con il fallimento delle pretese post-capitaliste.

Prima di scendere nel dettaglio, mi preme chiarire ulteriormente quali modalità di azione la politica propria dell’accelerazionismo non preveda. In primis, L’approccio bottom-up portato avanti da certe forme di lotta e manifestazioni, poiché rifiutano un dialogo di reciproco riconoscimento da avviare insieme alle istituzioni.

Anche l’ideale secondo cui inclusione e orizzontalità debbano prevalere in ogni contesto ha il suo posto fra i bagagli da defenestrare in piena corsa. Sebbene risulti spesso opportuno limitare la loro portata, il verticismo e l’esclusione mantengono un ruolo fondamentale nel progresso politico. Ciò che attualmente chiamiamo ideologia woke può essere interpretato alla stregua di un estremismo, al pari delle sovrastrutture sociali contro cui si scaglia. Tutto inizia da una concezione simil-democratica, arrivando però a compiere il giro a trecentosessanta gradi.

Veniamo dunque al sodo. La prima soluzione prospettata, legata all’organizzazione politica ideale per un futuro accelerazionista, è… che non c’è, o meglio, non un’unica. Difatti, risulta necessario un pluralismo di attori sociali, disposti in reti in cui ognuna fornisca feedbacks alle altre. Altrettanto fondamentale la continua sperimentazione, in modo da migliorare la dinamicità del sistema. Considerazioni simili vengono discusse nel video sottostante, che inaugura il nuovo format targato Mercuzio and Friends, con me fra i protagonisti. Trattasi dell’associazione culturale torinese grazie alla quale ho potuto registrare le ultime puntate del podcast di Meta Me. La mia gratitudine verso la realtà va anche all’impegno nel promuovere questo e alcuni prossimi articoli sul mio sito.

Più a lungo termine, uno degli obiettivi principali riguarda costruire un’infrastruttura intellettuale che sviluppi nuovi modelli economici e sociali. La nascita di istituzioni in grado di superare gli ideali dominanti nel presente verrebbe agevolato, in virtù di un’etica innovativa. Un’élite simile, all’interno dell’organizzazione semi-verticistica discussa precedentemente, offrirebbe alternative pragmatiche da diffondere ai piani inferiori della “piramide sociale”.

I mezzi di comunicazione vanno altrettanto riformati, per consentirne la massima democratizzazione. Monopolizzare le narrative propugnate da internet e social, sottraendole al controllo del popolo: tale è il piano di chi detiene il potere sui media. Non esiste, ad inizio millennio, una modalità migliore della politica della post-verità, se si vuole mantenere lo status quo.

Che fare per realizzare nel concreto tutto ciò, consapevoli di attivarci all’interno di un’impostazione molto diversa da ciò a cui vogliamo arrivare? Beh, non ho mai detto che l’accelerazionismo disdegni risorse in termini di denaro, anzi, non aspetta altro. Istituzioni, governi, magnati: più ce ne sono a rimpinzare le sue tasche meglio è. Gran parte delle cure innovative o sperimentali agiscono ritorcendo contro le peggiori malattie i medesimi meccanismi di diffusione. Allo stesso modo, una rivoluzione silente sfrutterebbe il DNA a base del funzionamento sociale, dilagando come metastasi per annientare quel cancro che è il capitale.

Sia chiaro, la situazione può sempre sfuggire di mano e riproporre logiche antagoniste. Oltre alla plasticità di nuove forme istituzionali, unita alla loro eticità riformista, possiamo, però, contare sulla particolare consapevolezza della nostra era. Consapevolezza sia riguardo al non poter prevedere in maniera meccanicistica il risultato di azioni su vasta scala, sia dell’impossibilità di esimerci dal controllarle. Dalla sintesi fra le due tendenze emerge una rinnovata padronanza del mondo, il quale viene esplorato in tutta la complessità. Serve individuare gli esiti probabili, senza nessuna certezza, in un’ottica improvvisativa, modificando situazioni che si rivelano solo a pratiche già avviate.

Accelerare senza andare a sbattere

Ci vuole un attimo a travisare persino poche pagine di manifesto, vista la densità dei contenuti… e la tendenza della persona media a generalizzare. Ebbene, durante gli anni che seguirono la pubblicazione, le correnti di destra incominciarono a cogliere nell’accelerazionismo una presunta aspirazione ad accelerare il capitalismo stesso. Prendevano spunto dal filosofo inglese Nick Land, il quale sosteneva tesi antitetiche rispetto al duo Williams – Srnicek. Sua credenza era il concetto di iperstizione: il modello fondato sul capitale, dotato di un’intelligenza sovraumana, avrebbe portato di spontanea volontà alla propria fine. Tutto per inaugurare un’era abbastanza distopica, caratterizzata da civiltà iper-tecnologiche “post-umane”, nel senso di negare l’umanità e il relativo senso morale.

La classica questione meramente terminologica, insomma. Ormai, bisogna specificare “accelerazionismo efficace e di sinistra”, in modo da distinguerlo dalla variante destrorsa. “Efficace” viste la pragmaticità con cui affronta il problema, al contrario della pura teoria landiana. Personalmente, sposo la visione appena denominata, in virtù del legame con ulteriori “-ismi” da me sostenuti, riportati nella sezione successiva. Mi appare ingenuo pensare che il regime capitalista compia una transizione “volontaria” prima di distruggere definitivamente il mondo, anche volendo dar ragione a Land.

Pur credendo in forme di capitalismo “etico”, meno dannose, non penso si possano definire più intelligenti, ma in grado di applicare accorgimenti tali da ridurre la propria aggressività. Lungi da me affermare la completa inezia dell’economia basata sul capitale: una spinta consapevole in direzione di un domani alla Blade Runner può esserci. La cui portata, però, sarebbe irrisoria in confronto al prevalente ristagno dell’avanzamento tecnologico.

Mettiamo il turbo ai collegamenti

Numerosi sono i punti di contatto fra l’accelerazionismo efficace e di sinistra da me sostenuto e altre correnti di pensiero contemporanee.

Tramite il recupero delle aspirazioni a spingerci verso orizzonti inesplorati, viene rispolverato il transumanesimo, liquidato troppo frettolosamente come pericoloso o irrealizzabile nel secondo Novecento. Infatti, un futuro del genere sarebbe caratterizzato sì da una grande evoluzione tecnica, ma anche dell’essere umano tradizionalmente biologico. Gli homo sapiens aumenterebbero esponenzialmente le proprie possibilità di ibridarsi con le scoperte tecnologiche, rendendo labile il confine con esse. Sotto il giogo dell’economia liberista di recente è stato realizzato Neuralink, il quale mira a collegare il cervello a dispositivi esterni. Chissà cosa verrebbe inventato, se la produzione di chip simile non fosse appannaggio delle aziende di Elon Musk, e della sua filosofia non proprio anticapitalista.

“Solarpunk” è un termine per indicare il modello ottimale che rimpiazzerebbe il presente stato delle cose. Elogiato giusto in una buona metà dei miei ultimi articoli, indica una filosofia che mira ad armonizzare il rapporto comunità umane – natura. Veicolare propositi simili, senza rinunciare alla tecnologia, rappresenterebbe lo scopo del senso morale messo in circolo dai vertici della società. Nonostante gran parte del pensiero solarpunk rievochi l’anarchia, ho sostenuto in altre occasioni il suo intrinseco aspetto protopico, quindi parzialmente gerarchico. Affiliabile al concetto di protopia è proprio il miglioramento graduale verso un ideale di benessere mai completamente raggiungibile, che una filosofia del genere auspica. Nulla a che vedere con tradizioni utopiche e arriviste di matrice anarchica.

C’è un’altra forma di pensiero metamoderno a cui l’accelerazionismo così inteso può essere ricondotto: la teoria del caos. Essa rifiuta il determinismo forte, secondo il quale per ogni azione A si può conoscere la conseguenza B, a favore di una versione debole. Se l’obiettivo è prevedere con esatteza i mutamenti di una realtà tanto complessa, bisognerebbe prima possedere una conoscenza completa di ogni fattore. Ma, fino a prova contraria, l’onniscienza esula dalle capacità dei mortali.

Così definito, un (in)determinismo del genere indica il fondamento dello studio di probabilità descritto precedentemente, che soltanto applicando il metodo abduttivo si può intraprendere al meglio. L’induzione (gli oggetti X visti in una particolare circostanza Y hanno la stessa caratteristica Z, perciò tutti gli X in Y hanno Z) non è molto d’aiuto qua. Nemmeno la deduzione (Tutti gli X in Y hanno Z, il prossimo X in Y avrà Z). Invece, abducendo che alcuni particolari X hanno Z, tutti gli X in Y hanno Z, perciò X sarà in Y, procedo senza il rischio di cadere in generalizzazioni forzate o postulazioni incorrete. Mi baso sulla sperimentazione ipotetica per infierire nuove affermazioni.

Si conclude anche questo articolo; dopo aver ripreso due pilastri del metamodernismo, come formulati dai filosofi H. Freinacht e J. Ā. Josephson-Storm, posso ritenermi soddisfatto. Ma vi invito ancora una volta a seguire i nostri svarioni nel video del format di cui sopra, garantisco, sarà un’esperienza indimenticabile!

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